LA MOGLIE DEL FORNAIO
di
Marcel Pagnol
8 / 20 maggio 2012
Teatro Spazio Uno – Roma
In un paesino dell’Alta Provenza, abitato da gente semplice e divisa da vecchi rancori, arriva, con la giovane e bella moglie, il nuovo fornaio che si fa subito apprezzare per l’eccezionale pane che sforna. Ma quando la moglie fugge con un giovane pastore appena conosciuto, il fornaio annuncia di non voler più fare il pane. A questo punto tutto il villaggio accantona le antiche contese e si unisce per ritrovare la fuggiasca e riportarla al marito…
Tratto dal un racconto di Jean Giono, giunge in Italia “LA MOGLIE DEL FORNAIO”, opera teatrale del regista e drammaturgo francese Marcel Pagnol, voce tra le più rappresentative della terra provenzale. Conosciuto ed amato in tutta la Francia, Pagnol viene proposto per la prima volta in lingua italiana, complice un adattamento fedele al mondo interiore dell’autore e al contesto culturale e sociale in cui visse. Figure quotidiane ma potenti rivivono in questo spettacolo attraverso personaggi – archetipi, ritratti con umorismo delicato e solare. Come il pane, elemento chiave di tutta l’opera.
ne hanno scritto…
Ci sono tanti motivi per non perdere La moglie del fornaio, pièce teatrale al suo debutto italiano, al Teatro Spazio Uno di Roma. Il testo è davvero interessante e lo spettacolo è molto bello. L’autore è Marcel Pagnol, scrittore, drammaturgo e regista francese scomparso nel 1974. Ispirato a sua volta da un brevissimo racconto di Jean Giono, all’interno dell’opera Jean Le bleu, Pagnol fece de La moglie del fornaio un film da lui stesso diretto nel 1938. In Italia quel film è diventato uno spettacolo teatrale grazie al lavoro certosino e scrupoloso di traduzione e adattamento di Renato Cecchetto, attore, doppiatore e dialoghista con un curriculum da far impallidire chiunque.
La scelta di portare in scena questo testo è stata ispirata non solo da una vecchia idea del grande Cesco Baseggio di crearne una versione in dialetto veneziano, ma soprattutto dalla volontà di far conoscere la figura di Marcel Pagnol e divulgarne l’opera letteraria, teatrale e cinematografica.
Questi sono i motivi che hanno portato al debutto teatrale italiano La moglie del fornaio.
La storia: in un paesino dell’Alta Provenza, abitato da gente semplice e divisa da vecchi rancori, arriva, con la giovane e bella moglie, il nuovo fornaio, Aimable Castanier (Renato Cecchetto), che si fa presto apprezzare da tutti per la bontà dei suoi prodotti. Quando sua moglie Aurélie (Cristina Giachero) scappa col pastore del marchese di Venelles (Ambrogio Colombo), il fornaio, disperato, smette di fare il pane. A quel punto tutto il villaggio accantona le antiche contese e si unisce per ritrovare la fuggiasca e riportarla al marito per poter così riavere il pane di Aimable.
Pagnol tocca qui uno dei vertici della sua carriera col ritratto di Aimable e con la piccola folla di personaggi che gli fanno corona: la loro solidarietà nascosta è, come le disavventure del fornaio, l’asse portante del racconto.
Tutto ruota, quindi, attorno al personaggio splendidamente interpretato da Renato Cecchetto, verso il quale il pubblico nutre una spontanea simpatia. L’ostentata ostinazione nel far credere che Aurélie si sia allontanata solo per andare a trovare la madre, è la negazione di ogni evidenza o il suo modo di esorcizzare la fuga, fatto sta che Aimable ispira tanta tenerezza che nessuno saprebbe negargli aiuto.
Ironia e compassione si mescolano sempre con garbo. Il folclore pittoresco resta vivo soprattutto nei tratti recitativi dei principali personaggi, come quello del curato (Stefano Onofri), che non si può certo definire di larghe vedute, ma che ricalca anzi, lo stereotipo del prete di provincia, attento solo a salvaguardare l’apparenza più che approfondire la sostanza.
Il Marchese stesso è un personaggio che, pur nobile tra la plebe, non lesina le proprie energie per il buon fine delle ricerche di Aurélie. Ambrogio Colombo lo interpreta con capacità e classe, dando un’idea della nobiltà che ci piace immaginare autentica ma che, ahinoi, temiamo lontana dalla realtà.
Il Maestro del paese, ben interpretato da Alessandro Pala è un uomo acculturato venuto da un’altra località francese, il cui sguardo ‘esterno’ sulle beghe che muovono i rapporti umani di quella piccola comunità, si rivelerà importante per la loro corretta interpretazione.
Aurélie la fedifraga, che dà il titolo all’opera, è interpretata da un’ottima Cristina Giachero. Vittima dei chiacchiericci delle pettegole del paese e del curato, ma soprattutto della ‘gabbia d’amore’ di suo marito, va e poi ritorna e l’intera comunità, grazie al suo peccato, riconquisterà l’armonia.
Uno spettacolo sul valore universale del perdono, colto in forma laica dalla popolazione, prima ancora che dal curato. Il perdono rende la figura del fornaio Aimable ancora più umana e la eleva ad un livello talmente alto da annullare ogni iato culturale tra lui e i protagonisti più colti del paese.
Lo sforzo produttivo de La compagnia del mulino è notevole. Sono ben quindici gli attori in scena, quasi tutti professionisti. Chi non lo è, proviene comunque dai corsi di teatro dell’associazione culturale Come in uno specchio. E’ davvero “un’orchestra multicolore” -come la definisce il protagonista e regista Renato Cecchetto- “che s’intona mirabilmente con lo spirito e la storia professionale di Marcel Pagnol”.